Articoli e Note
n. 6 - 2008
La sorte delle cartelle esattoriali "mute" dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 377/2007
(Avv. Antonino Ilacqua)
Con ordinanza n. 377/2007 è stata sottoposta al vaglio del giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, L. 212/'00 (cd. Statuto dei Diritti del Contribuente) nella parte in cui dispone l'obbligo di indicare tassativamente, anche negli atti dei concessionari incaricati della riscossione, il nominativo del responsabile del procedimento.
La Corte, dopo aver richiamato l'ambito applicativo della norma "l'art. 7 della legge n. 212 del 2000 si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell'amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l'esercizio di funzioni pubbliche, ... tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice a quo definisce come "procedimenti di massa" (che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionale", osserva che "l'obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, lungi dall'essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall'art. 97, primo comma, Cost.".
La Consulta, quindi, sconfessa la tesi del giudice remittente, il quale ritiene "eccessivo e poco utile addossare ai concessionari obblighi che appaiono fini a se stessi".
La Suprema Corte, pertanto, riferendosi esegeticamente al dato testuale dell'art. 7, comma 2, L. 212/'00: "Gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: a).... il responsabile del procedimento" conclude per la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell'articolo in esame.
Peraltro la stessa difesa dell'Avvocatura Erariale afferma:" ... la dichiarazione di incostituzionalità della norma raggiungerebbe l'effetto contrario a quello indicato dal giudice a quo ..." rectius la nullità delle cartelle mute.
Degna di rilievo appare, nel corpo - motivo dell'Ordinanza, la valorizzazione dei principi contenuti nello Statuto dei Diritti del Contribuente.
Lo Statuto, che costituisce l'approdo di un percorso iniziato nei primi anni novanta e finalizzato all'emanazione di una legge di carattere generale attuativa dei diritti fondamentali del contribuente, ha per la prima volta recepito, nella legislazione tributaria, i principi di trasparenza, correttezza ed imparzialità previsti dagli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, spostando finalmente al centro della "tutela" da parte dell'Ordinamento non più l'azione della Pubblica Amministrazione, bensì le attese ed i diritti del comune cittadino.
Fa discutere la natura dell'ordinanza n. 377/2007 laddove differenti effetti "caducatori" seguono la qualificazione della stessa in termini di pronuncia di rigetto stricto sensu o interpretativa di rigetto.
La decisione di rigetto pura e semplice, come è noto, lascia la legge esattamente come era al momento della remissione in quanto, evidentemente, i giudici avrebbero ravvisato la corrente interpretazione come una corretta interpretazione; con la pronuncia interpretativa di rigetto, a contrariis, i giudici di legittimità "suggeriscono" una interpretazione "costituzionalizzata" della norma, nel senso che una diversa lettura della stessa finirebbe con l'esprimere significati incostituzionali e, quindi, suscettibile di ulteriori interventi giurisdizionali.
Ciò posto, nell'ipotesi in cui si dovesse propendere per la qualificazione dell'Ordinanza n. 277/2007 in termini di mero rigetto, si dovrebbe pervenire alla conclusione che l'invalidità delle cartelle mute avrebbe già trovato disciplina nell'art. 7 L. n. 212/2000.
Ciò comporterebbe che, essendo il vizio preesistente alla pronuncia, tutte le "cartelle mute" notificate dopo l'emanazione dello Statuto dei Diritti del Contribuente risulterebbero viziate.
Ove, al contrario, si considerasse [a decisione come interpretativa di rigetto, sarebbe l'ordinanza n. 377/2007 ad aver "generato" un nuovo motivo di invalidità, con la conseguenza che risulterebbero illegittime solo le cartelle mute successive alla pronuncia.
Se si prendono in esame la disposizione del comma 2 dell'art. 7 "Gli atti.. dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare ... il responsabile del, procedimento" ed il testo dell'atto di intervento in giudizio dell'Avvocatura Generale dello Stato "...non sarebbe più un dovere sanzionabile con la declaratoria di illegittimità una eventuale mancante o insufficiente indicazione del responsabile del procedimento", appare chiaro come sia più corretta la qualificazione della pronuncia in termini di mero rigetto.
Del resto, il lessico perentorio utilizzato in entrambi gli atti non lascia alcun dubbio circa t'imperatività/obbligatorietà dell'indicazione del responsabile del procedimento netta cartella di pagamento.
Diverse opinioni sussistono anche in merito al tipo di vizio che inficia te cartelle mute.
Equitalia Spa e, per ultimo, la stessa Agenzia dette Entrate parta di mera irregolarità dell'atto, non suscettibile, come tale, di determinare l'annullabilità delle vecchie cartelle esattoriali prive dell'indicazione del responsabile del procedimento.
Il concessionario pubblico della riscossione, in particolare, ritiene che te cartelle mute configurino l'ipotesi di cui all'art. 21 octies comma 2 L. n. 241/90 " .. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato...".
Su tali affermazioni vi è preliminarmente da osservare come appare "particolare" (accade solo negli Stati totalitari) come il così detto "potere esecutivo" ritenga di poter interpretare, disattendendolo, il così detto "potere giudiziario"; laddove, peraltro, il potere giudiziario "interpretativo" è il massimo del potere di interpretazione autentica delle leggi di cui la Corte Costituzionale rappresenta la "summa".
Il Giudice delle Leggi che interpreta e viene interpretato a Sua volta?
A parte la su riportata riflessione che vuol essere solo spunto di confronto, la tesi sostenuta dall'Amministrazione Finanziaria nel suo complesso (Agenzia delle Entrate ed Equitalia) non convince per il fatto che ta procedura di emissione e notifica della cartella esattoriale non è affatto vincolata. L'agente della riscossione, infatti, deve aggiungere ai ruoli consegnati dagli uffici fiscali altre voci; in particolare deve indicare i propri compensi e gli interessi maturati.
Su tali voci, ovviamente, il contribuente ha diritto di conoscere come sia stato determinato l'esatto importo ai sensi e per gli effetti della disciplina sulla riscossione (D.Lgs. 1121'99 e successive modificazioni).
Pertanto, qualora si insistesse nel considerare le cartelle mute viziate da una violazione formale di legge, si dovrebbe al più ritenere applicabile il primo comma dell'art. 21 octies "E annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza", con l'onere per il contribuente, ove si accedesse a detta impostazione, di impugnare l'atto.
A parere di chi scrive, però, il vizio riscontrato nelle cartelle di pagamento "silenti" é sostanziale e, come tale, determina un motivo di nullità assoluta essendo l'indicazione del responsabile del procedimento un elemento essenziale dell'atto tributario.
L'art. 7 dello Statuto, che del provvedimento tributario fissa appunto gli elementi essenziali, non lascia margini di discrezionalità nel suo significato normativo ed è perentorio nel precetto "Gli atti ... dei concessionari detta riscossione devono tassativamente indicare....il responsabile del procedimento".
Il fatto poi che l'omissione non venga espressamente sanzionata con la nullità non ha alcuna valenza se si considera che detto vizio può ben desumersi, come più volte affermato dalla Corte di Cassazione, anche per tabulas, tenuto conto dello scopo perseguito dalla norma e delta funzione che adempie.
A ciò consegue che le cartelle mute rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 21 septies comma 1 L. n. 241/90 "E nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali...".
Quanto alla tutela giudiziale, considerato che la giurisdizione delle Commissioni tributarie, cui sono devolute tutte le controversie in materia di imposte e tasse, è una giurisdizione esclusiva di carattere generate, ovverosia estesa senza limitazioni, ad ogni questione relativa all'an o al quantum del tributo con esclusione degli atti di esecuzione forzata (Cass. SS. UU. n. 11082/2007), il contribuente cui è stata notificata la cartella muta può esperire un'azione di mero accertamento innanzi alte Commissioni, avvalendosi, sul piano della disciplina sostanziale, delle disposizioni del codice civile.
In forza di tale premessa, la disciplina dei termini si rinviene negli att. 1421 e 1422 c.c. "...la nullità ...può essere rilevata anche d'ufficio", "L'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e detta prescrizione delle azioni di ripetizione".
Il contribuente, nel caso in cui non sia esecutato secondo le procedure del D.Lgs. 112/'99 (ruolo), può altresì esperire in fase esecutiva, innanzi al giudice ordinario competente per materia, il rimedio previsto dall'art. 615 c.p.c., ossia l'opposizione all'esecuzione.
In questo caso, il giudice ordinario presso cui è incardinata la controversia d'opposizione all'esecuzione tributaria, può conoscere dell'atto impositivo e, se valutato illegittimo e/o inesistente, dichiararne la sua inefficacia quale titolo esecutivo, con conseguente annullamento dell'atto esecutivo, per eliminare o far cessare la lesione di un diritto soggettivo.
Sul piano processuale, sembra invece sussistere una forma di litisconsorzio passivo - a parere di chi scrive necessario - tra Ministero delle Finanze e concessionario (oggi Equitalia Spa).
L'art. 25 comma 2 del D.P.R. n. 602/1999 "La cartella di pagamento è redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze (ndr. i decreti del Direttore Generale del Dipartimento delle Entrate) ...", crea infatti una sorta di responsabilità solidale dell'Amministrazione Finanziaria net suo complesso.
Nella specie, pertanto, sono soggetti passivamente legittimati nel giudizio tanto l'Agenzia delle Entrate, la quale ha approvato la cartella esattoriale poi sanzionata dal giudice delle leggi, quanto Equitalia Spa, che ha comunque utilizzato una atto palesemente viziato avendo, comunque, la possibilità, secondo quanto già esposto in precedenza, di aggiungere altre voci.
Queste te conclusioni cui, invero, è possibile pervenire dopo l'emanazione dell'ordinanza n. 377/2007. Senonché in tale contesto è intervenuto, con un "colpo di spugna", il comma 4 ter dell'art. 36 della legge 28 febbraio 2008 n. 31 che recita: "La cartella di pagamento di cui al D.P.R. 602/1973... contiene, altresì, a pena di nullità, l'indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse".
In tal modo il legislatore, pur affermando e "condividendo" quanto su esposto e cioè che la mancata indicazione del responsabile del procedimento non può che comportare una nullità assoluta della stessa cartella, ha però inteso "sanare" il pregresso rispetto alla pronuncia della Suprema Corte. Sorge a tal punto, il problema di individuare la natura della disposizione richiamata.
Soccorrono, in tal senso, gli artt. 1 e 3 dello Statuto, che disciplinano l'efficacia temporale delle norme tributarie: "Le disposizioni della presente legge ... costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali... L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica...", "Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo... ".
Esclusa l'ipotesi della norma in deroga in quanto la Legge n. 31/2008 (cd. Mitleproroghe), essendo collegata alla finanziaria, non può che recepirne la natura di lex speciatis che, come tale, é inidonea 'a "ritoccare" i principi statutari, rimane da valutare se il comma 4 ter dell'art. 36 può considerarsi norma interpretativa ai sensi del comma 2 art. 1 L. n. 212/2000.
In particolare, sulla qualificazione della norma come interpretativa, la stessa Corte Costituzionale è più volte intervenuta tracciando dei principi generali fondamentali che giova qui richiamare: "la legge interpretativa..., pur se ha il fine di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata, non tocca la potestà del giudicare ... non lede, quindi, la funzione giurisdizionale, a meno che non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui concreti giudizi in corso per determinarne gli esiti " (cfr. sentenze C. Cost. n. 15 e 292 del 1995); "in proposito questa Corte ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali, tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di eguaglianza, quello della tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ciò che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice)." (cfr. sentenze C. Cost. n. 525/2000; C. Cost. n. 376/2004; C. Cost. n.282/2005).
Risulta evidente come, net caso di specie, l'unico fine perseguito dall'art. 36 del decreto Milleproroghe sia stato quello di contenere la spesa pubblica e, quindi, di incidere sia su giudizi in corso per determinarne gli esiti, sia su situazioni soggettive in divenire che potremmo definire quasi da "class action".
Appare chiaro, pertanto, che la necessità di una interpretazione autentica non aveva ragion d'essere, se non per un mero interesse "economico" del Governo resosi conto del "buco" che si può/poteva creare nel bilancio pubblico, derivante proprio dall'ordinanza n. 377/2007 che ha riconosciuto l'illegittimità delle cartelle mute.
E' vero che le pronunce giurisdizionali sono diverse dalle decisioni assunte dal legislatore, ma nel caso di specie la forza e la libertà del "legiferare" non può sorpassare i Limiti della giustizia, del buon senso e della razionalità.
Se cosi fosse vi sarebbe una sicura violazione dell'art. 3 e dell'art. 97 della Costituzione laddove si palesa una disparità di trattamento tra i contribuenti destinatari delle nuove cartelle di pagamento che, con l'indicazione del responsabile del procedimento vedono tutelati i diritti alla trasparenza, informazione e difesa e chi ha già un giudizio in corso o una cartella emessa prima del 1° giugno 2008, nonché un'interferenza sulla funzione giurisdizionale di cui agli artt. 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione.
Si determina, pertanto, un'ingiustificata disparità di trattamento - in violazione dell'art. 3 Cost. - in termini di tutela dei diritti alla trasparenza, informazione, difesa (che i giudici delle leggi riconnettono all'indicazione del responsabile del procedimento) rispetto a quei contribuenti te cui cartelle esattoriali sono state notificate prima delta legge interpretativa, nonché una violazione dell'art. 97 Cost. con riferimento al principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica amministrazione, ed ancor più, un'intrinseca contraddittorietà ed irragionevolezza nell'attività legislativa che integra un'ipotesi di eccesso di potere legislativo.
Ulteriore violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento dell'amministrazione, si rilevano anche perché la legge interviene retroattivamente, in palese violazione dell'art. 3 dello Statuto, su interessi di natura economica.
Come è noto, il giudizio di ragionevolezza o di giustificatezza o non arbitrarietà di una norma, presuppone l'accertamento dei fini complessivi della legge ed una conseguente valutazione di congruenza o adeguatezza della disposizione rispetto al fine.
Ebbene, il fine specifico del comma 4 ter dell'art. 36 della legge 28 febbraio 2008 n. 31 ci sfugge, o meglio ci si rifiuta di credere che possa trovare la propria ratio in un anticostituzionale tentativo di vanificare La tutela giurisdizionale.
In un Paese civile la dignità di un Paese si vede anche dalle Leggi che produce e dagli interessi che protegge; nel caso che ci occupa, purtroppo, la legge prodotta è il frutto di compromessi inconfessabili e, forse, di "talune" responsabilità.
Se tale rimarrà la strada intrapresa l'esigenza, da più parti avvertita, di una certezza del diritto non sarà certo perseguita e non può non rilevarsi come, nell'immaginario collettivo, tali accadimenti non possano che destare un forte allarme sociale laddove, di fatto, ammettono e confermano che nel nostro Paese non esiste dawero più certezza del diritto!
(pubblicato il 5.6.2008)