di Antonino Ilacqua
Avvocato presso il Foro di Roma
Il ruolo del Parlamento e l’emendabilità delle
Intese (art. 116, 3° co., Costituzione)*
Una delle novità più rilevanti all’interno dell’ampia riforma costituzionale dei rapporti Stato-Regioni è rappresentata dalla revisione dell’art. 116 della Costituzione: il nuovo terzo comma, introdotto dall’articolo 2 della legge costituzionale n. 3/2001, riconosce infatti alle Regioni ad autonomia ordinaria la possibilità di accedere a “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, in tutte le materie di potestà concorrente e in tre materie sottoposte alla potestà statale esclusiva (organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).
La natura dell’art. 116 Cost. sembra che lasci aperto uno spazio di valutazione1, nella impostazione delle
trattative e nella redazione delle intese2.
Il quadro di fondo delineato dalla Costituzione, che invero sembra scarno3, ha finito per ingenerare alcuni problemi interpretativi, primo tra tutti quello relativo al ruolo del Parlamento, che per alcuni Autori4, rimane centrale, «se si guarda al procedimento di cui all’art. 116, terzo comma non come ad una scelta di devoluzione già compiutamente prefigurata nella Costituzione (e che quindi richiederebbe soltanto una serie di atti volti ad attuare tale scelta), ma, piuttosto, come un meccanismo la cui attivazione è rimessa ad un accordo tra Governo e Regione interessata, che rimanda poi ad una legge dello stesso Parlamento».
A tal proposito, appare doverosamente opportuno ricordare l’appello di una trentina di costituzionalisti
- tra cui alcuni ex Presidenti della Corte Costituzionale - i quali, nel denunciare «il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali», danno una lettura coerente «con i principi di unità
e indivisibilità della Repubblica e con la funzione propria del Parlamento di tutelare gli interessi di tutti i cittadini e di tutte
* Paper non sottoposto a referaggio.
1 Secondo parte della dottrina, la disposizione costituzionale è auto applicativa e non serve una disciplina di attuazione-
v. M. CECCHETTI, Le attuali prospettive di attuazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione: una ipotesi di intesa nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in Le Regioni, 2017; O. CHESSA, Il regionalismo differenziato e la crisi del principio autonomistico, in ASTRID Rassegna n. 14/2017.
2 Tra gli altri cfr. anche G. PICCIRILLI, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., in Diritti Regionali, 2018, 2.
3 Una disposizione attuativa avente natura procedimentale è stata già introdotta, con l’art. 1, comma 571, della legge n.
147/2013; ma la norma ha regolato (in termini generalissimi) solo la fase di avvio del procedimento. Le Regioni non
hanno esercitato questa facoltà.
4 M. OLIVETTI, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, in federalismi.it, n. XX/ 2019.
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le Regioni », presupponendo quindi un ruolo positivo delle Camere nella definizione del regionalismo differenziato5.
Quindi, alla base di tutto c’è, ovviamente, la natura della legge di approvazione.
E, poi, della legge quadro ipotizzata dal Governo, che tutte le approvazioni dovrebbe predefinire, in un quadro unitario, che sia idoneo a riassumere gli aspetti procedimentali e sostanziali.
Questa natura della legge, è chiaro, finisce per rappresentare l’essenziale, perché indica il carattere di ognuno dei fattori in gioco – l’intesa rispetto alla legge; e, soggettivamente, il Governo, il Parlamento, le Regioni. Più esattamente, finisce per indicare la forza giuridica di ognuno dei fattori in gioco. La ricerca di un equilibrio di questi fattori non può che essere istituzionale e allora il punto di partenza non può che essere il testo dell’art. 116, terzo comma, Cost. e la considerazione, di fondo, per cui, sulla base dell’art.
116, terzo, comma, è la legge di approvazione che riconosce l’iniziativa regionale.
Il che è da vedersi in una logica più ampia, ordinamentale, per cui è l’ordinamento generale che riconosce l’ordinamento particolare6.
In questa prospettiva sono da accogliere integralmente le osservazioni di una autorevole dottrina particolarmente attenta alle esigenze ordinamentali ed istituzionali 7.
Stando a tale orientamento la “legge-quadro”, nel regolare la fase prelegislativa (cioè l’attività del Governo in sede di stipulazione delle intese con le autonomie), si rivolge al “Governo” imponendo il rispetto di alcuni princìpi procedimentali e contenutistici (si fa riferimento, a titolo meramente esemplificativo, ai seguenti principi o previsioni: coerenza del processo di attribuzione differenziata delle materie con i livelli essenziali delle prestazioni, rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nonché del principio solidaristico, previsione della facoltà dello Stato di stabilire, in relazione agli andamenti del ciclo economico e dei conti pubblici, misure transitorie a carico della Regione, a garanzia dell’equità nel concorso al risanamento della finanza pubblica previa adozione delle medesime misure con impatto finanziario su tutto il territorio nazionale). In sostanza la legge-quadro, secondo la citata opinione dottrinaria, avrebbe l’efficacia della predefinizione: preparerebbe le intese a livello Governo-Regioni e l’oggetto dell’attività legislativa del Parlamento In questo senso, dunque, la legge quadro condizionerebbe la legittimità dell’attività del Governo. In questa prospettiva, dunque, sembrerebbe superfluo il ricorso sia alla legge costituzionale (per la quale mancherebbe peraltro la stessa praticabilità politica) sia a quella di delegazione, la quale non è esente da dubbi di costituzionalità, atteso che l’art. 116, comma 3, Cost.,
imputa direttamente alla legge “rinforzata” il riconoscimento delle nuove forme di autonomia.
5 Appello di trenta Costituzionalisti su: Regionalismo differenziato, ruolo del Parlamento e unità del Paese, in federalismi.it n. 5/2019. sul punto, anche M. BERTOLISSI, Ragioni e prospettive di una riforma necessaria, MARSILIO ANCORA, 2019.
6 v. SANTI ROMANO, Autonomia, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983, rist., 14 ss.
7 Cfr. M. LUCIANI, Appunti, resi nella seduta della “Commissione per le Autonomie” del 22 gennaio 2020.
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E’ questo il quadro fondamentale entro cui muoversi, delineando volta per volta le scelte possibili tra i vari fattori in gioco, e calibrando l’equilibrio, ma solo su aspetti della materia oggettivamente intesa e autenticamente disponibili, nella combinazione variamente definibile tra legge quadro, leggi di approvazione e intese, ovvero su aspetti che si possono apprezzare e ricombinare entro il quadro fondamentale appena delineato e comunque nello spazio libero lasciato dalla Costituzione. Di qui alcune osservazioni che saranno svolte in seguito, sul gioco delle relazioni tra leggi e intese, in una logica che potrebbe essere anche improntata ad un certo doppio binario 8, e da svolgere all’insegna dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, intesi, qui, come principi che arricchiscono la nozione di autonomia9.
All’interno di questa prospettiva, si può iniziare dal profilo procedurale. L’iter per il conferimento
dell’autonomia differenziata si svolge, secondo la Costituzione, in tre importanti “momenti”:
a) l’autonomia è attribuita con una legge del Parlamento;
b) la legge è approvata a maggioranza assoluta;
c) la base è una intesa con la Regione interessata.
Ciascuna di queste indicazioni deve essere esaminata e approfondita, per cogliere i problemi che il Parlamento potrebbe essere chiamato a risolvere nell’affrontare le richieste di devoluzione da svolgere a mezzo delle relative intese.
Non può essere considerato casuale, infatti, che la revisione costituzionale del 2001 abbia rimesso l’attivazione del regionalismo differenziato ad una procedura che coinvolge non solo gli organi esecutivi ma anche il potere legislativo del Parlamento10.
Questo rilievo consente di supporre che l’art. 116, terzo comma, non può comunque intaccare l’ordine
costituzionale delle attribuzioni11: al Parlamento spetta, ragionevolmente, una vera e propria
8 Cfr. B. CARAVITA, Un doppio binario per l’approvazione del regionalismo differenziato ?, in FEDERALISMI, 2019; con il proposito di assumere il metodo del doppio binario, senza però assumere anche le forti critiche al regionalismo differenziato che vengono avanzate in quel testo e che sono ovviamente espressione del pensiero dell’Autore.
9 Cfr. F. GALLO, Dal federalismo al regionalismo differenziato, Riv. Corte conti, 2019, 5 ss., 5-7.
10 A questo riguardo è interessante riprendere un frammento della già citata opera Ragioni e prospettive di una riforma necessaria di M. BERTOLISSI in cui si afferma che «…il Parlamento non soltanto può - più che emendare, discutere -, ma deve prendere posizione, dinanzi all’opinione pubblica dell’intero Paese e delle singole Regioni, nei confronti delle richieste di maggiore autonomia…».
11 R. DICKMANN, Note in tema di legge di attribuzione di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., in federalismi.it, n. 5/2019, secondo il quale: “ … la Costituzione non sembra precludere allo Stato il titolo a svolgere in modo unilaterale il regionalismo differenziato, che anzi ammette come principio generale. Indica la via dell’intesa come “procedimento negoziato” sulla base di quanto previsto dall’art. 116, terzo comma, Cost., consentendo in sua presenza il ricorso al procedimento legislativo ordinario, ancorché rinforzato, in luogo della revisione costituzionale…”. Secondo l’Autore l’intesa, dal punto di vista dell’ordinamento costituzionale dello Stato, non può dirsi atto competente ad attribuire direttamente forme differenziate di autonomia in quanto è priva della natura di fonte del diritto. Si tratta, invece, di un atto negoziato, un accordo bilaterale di diritto pubblico, che dal punto di vista giuridico vale a legittimare la competenza della legge ordinaria rinforzata in luogo della legge costituzionale per derogare al riparto delle competenze di cui all’art. 117 Cost.
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compartecipazione decisionale, più che un ruolo di controllo. Difatti, è indiscutibile che il Parlamento è la sede in cui la rappresentanza dei diversi territori che compongono il Paese può esprimersi. E, a parte l’eventuale sottoposizione delle intese al parere della Conferenza Stato-Regioni, sono le Camere il luogo in cui gli interessi delle Regioni possono emergere; dunque, in virtù della natura di organo che rappresenta la pluralità, il Parlamento è il miglior garante dell’equilibrio fra unità ed autonomia imposto dall’art. 5
Cost.12
Sempre sul piano delle ipotesi teoriche avanzate dalla dottrina, non si può trascurare un’altra ragione costituzionale, che porterebbe a esigere una certa compartecipazione funzionale del Parlamento: l’adozione della legge di differenziazione è, secondo unanime opinione, una legge atipica e rinforzata13, giacché può essere adottata solo sulla base d’una previa intesa e ovviamente per la maggioranza assoluta richiesta per la sua approvazione.
Ne segue che le norme giuridiche poste dalla legge di approvazione, almeno per quanto riguarda il contenuto che costituzionalmente le è proprio, dovrebbero essere dotate di una forza passiva rinforzata, vale a dire di una certa capacità di resistenza all’abrogazione da parte di leggi ordinarie successive; così, ne discende che a seguito dell’approvazione della legge di cui all’art. 116, terzo comma, la potestà legislativa delle due Camere risulta in qualche modo limitata, in quanto tale legge potrà essere modificata dalle Camere solo rispettando i passaggi procedurali previsti per la sua approvazione (previa intesa e maggioranza assoluta).
Al di là di ogni ipotesi sulla natura di questa forza, sembra opportuno ricordare come sia preminente l’esigenza di una accorta ponderazione degli interessi in gioco da parte del Parlamento, in sede di approvazione della legge di differenziazione.
La prospettiva di fondo che si viene a delineare si completa, simmetricamente, con il punto di vista della regione interessata, la quale senz’altro aspira ad assumere un’autonomia differenziata che sia adeguatamente legittimata di fronte alla comunità nazionale. Questa particolare legittimazione, grazie alla definizione di valore impressa dalla Corte costituzionale, può aversi solo attraverso la discussione e la deliberazione parlamentare, in quanto «solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale (art. 67
Cost.) la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica infungibile» (C. Cost., sent. n. 106/2002).
12 Nel senso dell’importanza pregiudiziale dell’art. 5 Cost. nella definizione del processo di implementazione del
regionalismo differenziato di cui all’art. 116, terzo comma, S. STAIANO, Art. 5 della Costituzione italiana, Carocci, Roma
2017; F. BIONDI, Il regionalismo differenziato: l’ineludibile ruolo del Parlamento, in Quad. cost., n. 2, 2019.
13 In questo senso P. GIANGASPERO, Ancora sul processo di differenziazione dell'autonomia regionale ordinaria: le prospettive di
applicazione dell'art. 116, comma 3, Cost. tra principio negoziale, vincoli procedurali ed impatto sul sistema delle fonti del diritto, in Le
Regioni, 2018, pp. 163-74.
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E’ in questa prospettiva che si deve calare la determinazione della procedura da seguire nell’approvazione della legge di differenziazione, che, essendo atipica, non potrà quindi che essere costruita alla luce delle esigenze sopra esposte.
L’art. 116, 3° comma, prevede uno strumento che, senza dubbio e nei fatti, ad oggi non è mai stato utilizzato ed è costituito da elementi procedurali che lo rendono difficilmente comparabile con altre fonti del diritto previste dalla Costituzione14.
Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione appare, quindi, più che opportuno garantire il ruolo del Parlamento assicurando, almeno in una delle fasi dell’iter di differenziazione, un adeguato contributo critico e dialettico delle Camere (compartecipazione più che controllo), sì da mettere in equilibrio la funzione legislativa del Parlamento e le scelte negoziali assunte nell’ambito delle intese. Nella ricerca di questo equilibrio, nel silenzio della norma costituzionale, due sono i principali orientamenti dottrinali che prefigurano un “ruolo compartecipativo” del Parlamento15. Trovano caratterizzazione nel riconoscimento di un potere: la emendabilità o meno, in sede parlamentare, del disegno di legge presentato dal Governo sulla base dell’intesa raggiunta con la Regione interessata16. Sullo sfondo, vi è il principio per cui la fonte che attribuisce l’autonomia differenziata sia la legge rinforzata, che avrebbe natura sostanziale17, sicché, per una parte della dottrina, l’emendabilità del disegno di legge dovrebbe considerarsi insita nella libertà della funzione legislativa, nonché nel ruolo centrale che la Costituzione assegna alle Camere, intesa come sede dell’esercizio della sovranità popolare, secondo quella base imprescindibile su cui riposa la Repubblica, prefigurata nell’art. 1 della Costituzione. Pertanto, se si ritenga fondata l’emendabilità della proposta18, si tratterà di verificare se l’approvazione parlamentare che si volga ad essere in tutto o in parte difforme dai contenuti dell’intesa iniziale, possa implicare una sorta di revisione, o di adeguamento dell’intesa, al fine di renderla conforme alla volontà della legge di approvazione; ovvero, in tono minore, si tratta di valutare se si tratti solo di un semplice adeguamento tra legge e intesa, all’uopo occorrendo un’ulteriore votazione, a maggioranza qualificata,
dopo la revisione dell’intesa.
14 Il riferimento è, in particolare, all’art. 8 Cost. (approvazione delle intese con i culti acattolici), all’art. 80 Cost. (approvazione delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali), all’art. 123, testo originario, Cost. (approvazione degli statuti delle Regioni ordinarie prima della legge cost. n. 1/199).
15 Se si esclude l’ipotesi della legge rinforzata quale semplice presa d'atto dell’Intesa, che verrebbe quindi ad essere un mero allegato del progetto di legge, ovvero una sorta di riedizione del procedimento di adozione di una intesa tra Stato e confessione religiosa diversa da quella cattolica (ai sensi del procedimento di cui all’art. 8 Cost.).
16 D. FISICHELLA, Contro il federalismo, Roma, Editoriale Pantheon, 2004; A. D’ADAMO, G. FIORANI, F. FARINA
Autonomia differenziata e regionalismo differenziato: le tendenze in atto a livello nazionale, McGraw-Hill, 2010.
17 In tal senso M. CARLI, Il Regionalismo differenziato come sostituto del principio di sussidiarietà, in federalismi.it n. 22/2019.
18 In questo senso, tra gli altri, cfr. A. PIRAINO, Ancora su regionalismo differenziato: ruolo del Parlamento ed unità e indivisibilità
della Repubblica, in federalismi.it, 2019, 8; G. CHIARA, Il regionalismo differenziato tra attese federaliste deluse e rischi di eccessi, in
Forum di Quaderni Costituzionali, 6 luglio 2019, e bibliografia ivi citata.
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D’altra parte, è opportuno menzionare anche la tesi opposta all’emendabilità. Difatti, altra parte della dottrina ipotizza la non emendabilità del disegno di legge presentato dal Governo. La non emendabilità si fonderebbe, soprattutto, sull’esigenza di rispettare una sorta di principio bilaterale, che nella determinazione del contenuto spingerebbe ad escludere una modificazione unilaterale di quanto disposto nell’intesa fra Stato e Regione19.
Tale indirizzo ipotizza, a compensazione, alcune forme di coinvolgimento delle due Camere, in una fase
antecedente all’approvazione della legge, generando, ad esempio, una pre-intesa. Secondo tale orientamento, le oggettive difficoltà – di ordine sistematico – che impedirebbero di riconoscere l’emendabilità del disegno in sede di approvazione dell’intesa, dovrebbero indurre, anche a tutela del ruolo che il Parlamento non può non avere20, a privilegiare questa via, evitando di mettere il Parlamento nella posizione del «prendere o lasciare».
Un esame, magari informale, delle bozze di intesa potrebbe ad esempio essere avviato prima della conclusione delle intese stesse, parallelamente all’esame di esse da parte del Consiglio dei ministri, o subito dopo un primo esame da parte del Consiglio stesso.
Precedenti in quest’ultimo senso non mancano, specie nella prassi relativa alle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali: in alcuni casi «il Governo ha sollecitato una discussione ed un voto delle Camere prima della firma, e non prima della ratifica, come è previsto nel disposto costituzionale. Si pensi, in particolare, al Trattato del Nord Atlantico, al Trattato di non proliferazione nucleare, agli Accordi di Osimo, nonché all’Atto unico europeo (…), oltre che alla revisione degli Accordi lateranensi»21.
È sempre la prassi relativa alle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ad offrire,
secondo il predetto orientamento, un altro precedente fruibile per la legge di approvazione delle intese, aggiungendovi le informazioni fornite dal Governo alle Commissioni sui negoziati in corso.
Un coinvolgimento preventivo potrebbe ottenersi anche attraverso vari strumenti di leale cooperazione: ordini del giorno, mozioni, risoluzioni, con cui le Assemblee sollecitano il Governo ad assumere iniziative precisando le linee da seguire22; in tale ultimo caso si avrebbe un’efficacia solo orientativa, vincolante, al massimo, sul piano politico.
Ma qui nasce un problema legato alla natura della legge che poi andrà a ratificare gli Accordi.
19 A. D’ATENA, L’art. 116, u.c., Cost., alla prova dell’applicazione. Profili procedimentali, in Rassegna parlamentare, 2018, 1, 192 ss.; S. MANGIAMELI, Appunti a margine dell’articolo 11, comma 3, della Costituzione, in Le Regioni, 2007, 4, 664 ss.
20 Aperture in questo senso sono del resto state espresse in Parlamento sia dal Presidente del Consiglio Conte che dal ministro degli Affari regionali Stefani.
21 F. BRUNO, Il Parlamento italiano e i trattati internazionali. Statuto albertino e Costituzione repubblicana, Giuffrè, Milano, 1997.
22 F. BRUNO, opera cit.
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E’ fuor di dubbio, infatti, che la legge sia una legge “rinforzata”, certamente non emendabile da una legge ordinaria, come sopra esposto, ma che vedrebbe le proprie ragioni e finalità “indirizzate” da una cooperazione attraverso ordini del giorno, mozioni, risoluzioni che si adotterebbero a tal punto, nelle Commissioni competenti, non con maggioranza rinforzata, come prescritto per la legge che andrà a sancire gli Accordi, ma solo con una maggioranza assoluta, quindi, che non necessita di quella “maggior” condivisione che la riforma costituzionale assegna alla legge di approvazione degli Accordi di differenziazione.
Quindi, nel caso in cui il DDL che il Governo trasmetterà alle Camere, a seguito di questa “cooperazione”, non si considerasse più emendabile vi sarebbe, con ogni probabilità, un “vulnus” di carattere sia procedurale che costituzionale, superabile esclusivamente, a parere di chi scrive, attraverso il riconoscimento in capo alle Camere, pur successivamente al primo passaggio dinanzi alle Commissioni, del potere di riforma derivante dai principi costituzionali sulla divisione dei poteri tra legislativo ed esecutivo rispetto all’individuazione del percorso di riforma costituzionale del 2001..
Infine, in un giusto equilibrio tra emendabilità e non emendabilità, da vedere negli spazi liberi riconosciuti dalla Costituzione, rendendo possibile lo svolgersi del procedimento parlamentare sia nel senso della emendabilità, che in quello della non emendabilità dell’intesa, non bisogna dimenticare i contributi resi in audizione e la voce che ricorda23, autorevolmente, che un’idea potrebbe essere quella di fare una legge contenitore sull’art. 116, co. 3, che definisca i paletti “contenutistici” ex ante una volta per tutte, offrendo così un’indicazione di natura anche politica24..
Ma tale tesi, pur avendo il pregio d’una certa ragionevolezza, finirebbe con il delegittimare le intese già avviate (che andrebbero quindi rinegoziate e riadeguate rispetto alla stessa legge contenitore), producendo l‘effetto di “omogeneizzare la differenziazione” a discapito delle specificità proprie delle singole Regioni.
In conclusione, in una prospettiva d’interpretazione dell’equilibrio istituzionale, non aliena da
preoccupazioni di opportunità, pur rispettando tutte le dottrine sopra evocate, la tesi dell’emendabilità
23 Audizione del Prof. A. CELOTTO in sede di Commissione parlamentare per le questioni regionali del 9 maggio 2019.
24 Segue questa linea, la bozza di legge quadro contenente i principi per l’attribuzione alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia e le modalità di definizione dei LEP e degli obiettivi di servizio dell’11 novembre 2019, consegnata dal Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie On. Francesco Boccia. Proprio sulla legge-quadro, tuttavia, parte della dottrina si pone il problema dell’inadeguatezza dello strumento che, per il suo rango gerarchico, non potrebbe vincolare, né nei contenuti né nella forma, la nuova figura di legge introdotta per l’approvazione delle intese. Quest’ultima, di rango ordinario anch’essa, potrebbe infatti liberamente derogare, in ogni sua parte, a qualsivoglia legge anteriore pari ordinata. Una soluzione potrebbe rinvenirsi, secondo l’autorevole voce del Prof. S. STAIANO, nella delega legislativa, una forma capace di irrigidire il parametro senza salire oltre il livello ordinario della legge. Secondo l’Autore, a maggioranza assoluta dovrebbe essere deliberata la legge di delega al Governo a stipulare le intese, essendo essa vincolata dall’art. 76 Cost. a determinare, oltre che il tempo, l’oggetto e i principi e criteri direttivi della disciplina recata dall’atto delegato contenente l’intesa. Sulla legge quadro, vedi anche M. MEZZANOTTE, L’art. 116, comma 3, Cost. tra obblighi finanziari e vincoli di contenuto in www.federalismi.it n. 23/2019; A. PIRAINO, Il regionalismo differenziato deve coinvolgere pienamente gli Enti locali, in www.ildomaniditalia.eu.
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del disegno di legge presentato dal Governo, per quanto non facile, appare forse la più corretta e la più convincente, su più di un piano.
Infatti, guardando meglio l’interna sostanza della seconda opinione dottrinale, e pur non disconoscendo l’effetto persuasivo che potrebbe avere un passaggio parlamentare preventivo, sembra che quella tesi finisca col porre più problemi di quanti ne risolva.
E questo si afferma non sottovalutando il rischio della deminutio del ruolo del Potere legislativo, rispetto a quello dell'Esecutivo.
La scelta della modalità, con la quale sottoporre al Parlamento gli Accordi, deve avere la consapevolezza del rischio di “ingessare” l’intera procedura di differenziazione che, con ogni probabilità, non vedrebbe mai una “conclusione” ma, al contrario, potrebbe essere utilizzata, a fini esclusivamente politici, per “dilatare sine die i tempi di negoziazione con le Regioni”, non consentendo e non rispondendo alle esigenze manifestate, oramai, da quasi tutte le Regioni ad autonomia ordinaria, in ordine alla ferma volontà di dare un avvio irreversibile all’autonomia differenziata.
Da qui si giunge ad una prospettiva finale, che formula le sue conclusioni raccogliendo profili non solo di legittimità costituzionale, ma pure di una opportunità volta al formarsi d’un certo equilibrio istituzionale che fa privilegiare la tesi dell’emendabilità da parte del Parlamento in sede di approvazione della legge rinforzata, degli Accordi sottoscritti dal Governo e dalle singole Regioni.
Circostanza questa che non può, in alcuna maniera, obbligare le Parti sottoscrittrici dell’Accordo stesso a dover aderire agli eventuali emendamenti / modifiche che il Parlamento dovesse assumere in quella sede e che, quindi, non potrebbero che essere eventuale fonte di rinegoziazione degli Accordi stessi nella ricerca di un corretto equilibrio.
In fondo, il principio che non si può dimenticare ed insito nella riforma costituzionale, è quello di riconoscere un’autonomia differenziata che porti ad esprimere in modo profondo le esigenze dei territori, salvaguardando le prerogative costituzionali di tutti i poteri dello Stato nel rispetto della Carta Costituzionale; e dove può esservi tale “sintesi” se non nel Parlamento sovrano che le deve adottare
secondo le procedure dettate dalla stessa Costituzione?
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